Il fiume Sele taglia in due la città, e Sara ogni giorno lo attraversa per andare nella scuola di Basilici. I suoi studenti arrivano da tutte le parti del mondo e la guardano con differenza. La chiamano Signorina Bellafonte, perchè anche se è nera (come la maggior parte di loro) non è una di loro: è cresciuta di là dal fiume, suo zio, è il guardiano del frutteto “oro rosa”, perchè sfamano molte famiglie.
Sara è la figlia adottiva di un professore di liceo e della cuoca dell’asilo. Sua mamma preparava torte e coltivava rose, suo padre le ha insegnato le passione per le parole: il suo mondo da bambina aveva confini certi. Ora Don Paolo le ha trovato questo lavoro, crede che lei sia la persona giusta. Giusta perchè?
Questi ragazzini, che conoscono tre lingue e ne inventano una diversa ogni pomeriggio, avranno pure il suo stesso colore di pelle ma la scrutano, la sfidano di continuo. All’inizio non riesce a ottenere la loro attenzione nemmeno per mezz’ora. Le parole non bastano più, forse la strada per comunicare passa per certe esperienze difficili del passato: ogni volta che si è sentita diversa, nel posto sbagliato.
Settimana dopo settimana quei nomi impronunciabili e quei volti sfuggenti diventano più famigliari: Tajaeli Kolu che le assomiglia così tanto, Zakaria Laroui con l’occhio pigro e zero modestia, Paul Bonafede che è mezzo italiano e sembra vergognarsene.
Ma poi scompare Charlie Dì , che stava sempre seduta al terzo banco, e intanto si moltiplicano le aggressioni nel quartiere: ecco che questo processo accidentato ma prodigioso di conoscenza reciproca rischia di interrompersi. Eppure certe vite spezzate e ricucite possono ancora, come certi innesti, trovare il modo di fiorire.