di Joana Lolo
Tutti a nostro modo siamo collezionisti, accumulatori compulsivi e a volte inconsapevoli di oggetti che ci ricordano chi siamo, che ci danno il senso della nostra esistenza rivelandola nella sua essenza. Oggetti che attraverso la loro innocenza riescono a redimere il passato, a guarirne le ferite trasformando le cicatrici in sorrisi; a semplificare la complessità della vita e restituirci la chiarezza del nostro essere, ricordandoci che siamo unici, irripetibili.
Ho scelto di esporre, a emblemi di innocenza, alcuni disegni e dipinti realizzati da me e alcune tra le persone a me più care tra familiari e amici: sono un elogio dell’amore e dell’amicizia ma soprattutto della purezza dei sentimenti; mi parlano del passato ma in modo vivo, personale: sono frammenti d’anima, istantanee di umori; segreti e verità sussurrate con mestizia, muta poesia. Raccontano due storie fondamentali: quella del soggetto raffigurato e quella del soggetto che raffigura.
Il miracolo dell’arte, il suo incantesimo per me è proprio questo: la capacità di fermare l’essenza del nostro tempo e trasformarla in spazio, visione.
MIO NONNO.
Inizierò questo viaggio parlando del primo artista della mia vita, mio nonno, il primo a infondere in me la passione e l’amore per l’arte: Spiros Liolios è stato un ceramista, pittore e agiografo greco. Da artista profano ha voluto rappresentare vizi e virtù dei suoi connazionali, simboli e tradizioni della sua terra: “la dolce vita”, la giovialità e talvolta la pigrizia tipica dei popoli mediterranei; il bel mare greco, emblema e ossessione di un’intera civiltà. Quel mare che sembra infinito, che è contemporaneamente riposo e sogno, profondità ed enigma.
“Un malinconico pescatore.”
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Mi ricordo che una volta da bambina, rimasi colpita da un dipinto di mio nonno che raffigurava un pescatore: era piuttosto giovane, quasi un bambino e guardava in lontananza il mare con uno sguardo velato di malinconia. Quel quadro aveva su di me un effetto ipnotico che allora non capivo totalmente; crescendo per me non ha perso quel suo potere ma si è arricchito di significato: so che mi piace perché parla della vita delle persone semplici, che mio nonno amava rappresentare: una vita apparentemente spensierata, dietro la quale si nascondevano però spesso la fatica, la tristezza e un senso di impotenza e ineluttabilità del destino. Mi piace e mi emoziona perché mi sento vicina a quelle persone, perché penso al misterioso pescatore come al postino di Neruda con la passione della poesia, con l’animo del sognatore; mio nonno scelse come soggetti queste persone perché vedeva in loro una grande capacità di sognare, di accettare una vita umile riscattandosi attraverso l’immaginazione, il gioco.
Arte sacra.
Come pittore di “arte sacra”, mio nonno è stato un agiografo fedele alla tradizione bizantina, una tradizione fatta di archetipi, santi geometrici la cui immagine ha conservato solo l’anima, uomini universali che nulla hanno più a che vedere con l’uomo comune, mortale.
Io e mia sorella abbiamo ereditato da mio nonno questa passione, mia sorella perseguendola nella professione, io coltivandola per puro piacere nel tempo libero.
MIA SORELLA.
Il Laocoonte e la sindrome di Stendhal.
Per ogni artista che voglia sviluppare una poetica personale si parte sempre e comunque dalla copia. Espongo qui una riproduzione del Laocoonte realizzata da mia sorella con dei pastelli cretosi su carta. Questa copia venne eseguita su richiesta di mia madre che rimase letteralmente “immobilizzata per lo stupore”, dopo averlo visto al Vaticano. Per completarlo ci vollero due giorni di intensa dedizione; probabilmente la cosa più difficile è stata comprendere ed esprimere la tragedia di Laocconte, quel suo struggimento talmente profondo che dal marmo sembra prender vita per levarsi in in canto dolente; quel tentativo di fuga ad una condanna inevitabile che né il pathos né la bellezza sembrano riuscire a riscattare.
Mia madre.
Mia madre, oltre ad essere committente di molti dei nostri disegni ne è anche la modella. Una madre che prima di essere tale è amica, faro, ispirazione. “Sorridi donna sorridi sempre alla vita anche se lei non ti sorride. Sorridi agli amori finiti sorridi ai tuoi dolori sorridi comunque. Il tuo sorriso sarà luce per il tuo cammino faro per naviganti sperduti. Il tuo sorriso sarà un bacio di mamma, un battito d’ali, un raggio di sole per tutti.” Alda Merini
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Rivedo nei ritratti di mia madre un po’ di quell’ossessione che Boccioni aveva per la sua; quella grande madre futurista il cui volto è forse noto a pochi, il cui pensiero è per l’artista una bussola che lo guida, un porto sicuro a cui far ritorno dal mare confuso della sua vita; quella madre che compare ossessivamente come costante delle sue opere più intime: Boccioni la trasfigura fino a trasformarla in una Madre universale, personificazione di una forza generatrice primitiva che incute timore ma porta verso la salvezza; quella madre bionica che pare come scolpita nella roccia ma dal cuore immenso.
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I MIEI AMICI.
Espongo qui alcuni disegni donati dalle mie più care amiche:
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Questi splendidi acquerelli sono stati dipinti da una mia amica pittrice che adesso studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ritraggono me e mia sorella: risalgono a sette anni fa ma suscitano in me ancora molta emozione.
IL MIO RITRATTO.
Mi guardo, mi rispecchio e sento di essere nuda, spogliata di ogni contingenza, sorpresa in un profondo attimo di sincerità. Mi trovo dinnanzi ad uno specchio che probabilmente ha colto di me verità che io stessa ignoravo. Come Borges incontro il mio doppio: più parliamo e più scopriamo spigoli, divergenze che ci fanno rinnegare l’assioma dell’identità. Racconto a quell’adolescente dallo sguardo cupo e profondo, la cui immagine adesso si sovrappone la mia, quella che per me è stata una seconda “nascita”: le dico che nascere una seconda volta è molto più difficile della prima: la prima volta veniamo al mondo inconsapevoli, senza averlo deciso, e tutto ciò di cui abbiamo bisogno è una madre che ci accudisca: quando nasciamo una seconda volta è perchè noi l’abbiamo voluto: decidiamo di diventare consapevoli, di prendere per mano il nostro “io intimo” e diventiamo genitori di noi stessi; e così crescere diventa una responsabilità molto grande ma la felicità che deriva dalla consapevolezza di decidere per noi è immensa; le dico che nonostante le difficoltà ne è valsa la pena anche se in realtà non sono neanche a metà della strada verso me stessa; che adesso sono una donna acerba che tuttavia ha imparato ad amarsi, che non sarebbe qui senza quell’insicura, confusa adolescente che prima era stata.
EDVARD MUNCH.
Questa copia a tempera di “Ansietà” di Edvard Munch mi è stata donata da un’amica con l’amore per l’espressionismo tedesco e soprattutto per Munch. Nel periodo in cui l’aveva eseguita stava leggendo i suoi diari e me la regalò. Ciò che mi colpisce è “l’assonanza”, la capacità di esprimere quel particolare stato d’animo d’inquietudine proprio dell’espressionismo, quella rappresentazione istantanea e violenta di emozioni incontenibilmente vive.
I MIEI DISEGNI. Infine espongo qui i miei disegni. Non hanno la pretesa di imitare la realtà, non sono frutto dell’osservazione; sono spesso disimpegnati, evasivi, onirici. Sono il mio idillio, un angolo di vita dove regna sovrana la libertà, un sogno, una catarsi; un modo per convertire lo stato d’animo in materia, per esprimere il mio mondo interiore.
NUOTANDO NELL’ARIA.
Ho intitolato questo acquerello “Gnōthi Seautón” (“conosci te stesso”), ispirandomi alla a massima religiosa iscritta nel tempio di Apollo a Delfi. Ho riportato questa massima anche all’interno del dipinto stesso: conoscere se stessi significa entrare in un mondo sconosciuto, oltrepassare la soglia dell’ignoto, aprire una porta che introduce alla notte profonda e ai suoi misteri. Alcuni elementi del dipinto derivano da sogni ricorrenti che facevo da bambina: la notte profonda e una grande luna rossa che si stendeva sopra di me, affascinante, enigmatica. Quella luna che è un simbolo ancestrale di femminilità, di inconscio. Le figure sospese rimandano al sogno di volare: è un sogno ricorrente che faccio tuttora, quello di galleggiare nell’aria forte, libera, al di sopra di sopra di tutte le cose, mentre il mondo intorno a me diventa piccolo, silenzioso, comprensibile.
LA VITA NELL’UOMO E IN NATURA.
Questo è un disegno a cui sono molto affezionata. Lo vedo come una riflessione generale sul mistero della vita nell’uomo e nella natura. Amo l’idea di associare un albero al corpo di una donna: l’albero è simbolo della vita, è il grembo della madre. La sua storia inizia dalla terra e i suoi rami abbracciano il cielo. Ciò che accade nelle profondità della terra è invisibile all’occhio umano, si svolge in un’oscurità, in una calma fetale. Uomo e natura sono un tutt’uno nel processo generativo:
i semi sono feti,
l’albero è il grembo,
il vento è una culla.
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